giovedì 26 agosto 2010

Mente e bellezza di Fausta Slanzi

Interrogarsi sulla condizione umana è prassi che scienziati, letterati, sociologi, ed esperti di varie discipline svolgono per innumerevoli motivi e studi. Farlo per un decennio analizzando e indagando soprattutto la dimensione estetica ha portato a un risultato di “mirabile sintesi (…) che rappresenta un importante contributo alla ridefinizione della nozione di estetica e creatività” come scrive Vittorio Gallese nella postfazione di “Mente e Bellezza”. E Gallese, di studi e indagini importanti se ne intende visto che, insieme ad altri, è il neuro scienziato che ha scoperto l’esistenza dei neuroni specchio. Autore del saggio “Mente e Bellezza”, 250 pagine fitte di studi, analisi, considerazioni e riflessioni di grande interesse, è Ugo Morelli studioso e docente di Psicologia della creatività e dell’innovazione, oltreché di Psicologia del lavoro e organizzazione ed editorialista del Corriere del Trentino. Il libro edito da Allemandi, sarà nelle librerie da metà settembre ma una prima presentazione, nazionale, è in programma venerdì 27 agosto a Comano nell’ambito di “Trentino d’autore”. Morelli in questo suo ultimo lavoro “non ha paura di attraversare confini e steccati disciplinari” e, ponendo grandissima attenzione agli aspetti epistemologici (vale a dire quelli che riguardano il rapporto con se stessi come entità consapevoli di conoscere e il sapere), riesce con grande capacità a porre in dialogo la filosofia con la biologia e la psicoanalisi con le neuroscienze.
Il tutto per esplorare la comunanza fra arte e scienza, per indagare quanto “le capacità degli esseri umani di esprimere atti estetici” possano essere ascritte alle facoltà naturali e come “i risultati del loro esercizio” possano far parte dei processi e dei fenomeni propri della natura. In che cosa si distingue la natura umana dalla natura normalmente intesa? La prospettiva studiata da Ugo Morelli parte da una questione fondamentale: come mai gli esseri umani sono capaci di concepire e pensare l’estetica e la conoscenza come facoltà posto che pensare e conoscere è patrimonio di tutto il mondo animale? Quale è la distinzione dell’esperienza umana? E, in riferimento alla conoscenza e all’estetica, qual è il punto di combinazione e integrazione tra scienza e filosofia? Quale meccanismo consente alla specie umana, specie che ha acquisito competenze simboliche “solo” centomila anni fa, di elevarsi interrompendo e ri-creando un legame fra il soggetto e il mondo, caratteristica propria dell’esperienza estetica? Come ha acquisito capacità di plasmare manufatti attribuendo loro un significato che naturalmente non avrebbero? L’esperienza del creare e del conoscere, ci dice Morelli, ha il suo senso più pieno nella “considerazione del reale in quanto cifra, codice” che ci rinvia ad un senso ulteriore, ad altri mondi possibili. Ma perché l’essere umano possa accedere all’esperienza della creatività ha bisogno di una tensione, di un particolare stato che Morelli chiama “tensione rinviante”, laddove l’aggettivo è inteso come movimento del preparare, del predisporre a qualcosa di altro. Ed è proprio in questa condizione che l’Homo sapiens si riconosce e diventa riconoscibile. Solo attraverso questa tensione, che è caratterizzante per la specie umana, ha origine il rapporto tra il mondo reale e il “possibile” e, solo attraverso “il possibile” la specie simbolica si distingue. Il reale è il vincolo che permette all’Homo di esprimersi oltre sé stesso, di andare lontano da sé, di esplorare il diverso da sé finché, non coincidendo più con se stesso, l’Homo sapiens diventa relazione. E proprio nel momento in cui nella relazione “ci creiamo umani”, al contempo riconosciamo “la nostra incompletezza e la nostra mancanza”. Ed è qui che la mente entra prepotentemente in gioco in quanto emerge come sistema che non risponde più soltanto a stimoli interni od esterni ma, attraverso le relazioni, seleziona e attiva strategie, compie scelte fra infinite possibilità, crea nuovi contesti e li distrugge, sempre alimentata dall’immaginazione e dalla fantasia, linfe vitali per le capacità di essere e di costruire dell’Homo sapiens. Attraverso “la tensione rinviante” -scrive Morelli - “interrompiamo la consuetudine e ci sporgiamo oltre l’esistente, alla ricerca costante del senso”. Le esperienze estetico creative analizzate nel saggio di Morelli sono: la creazione artistica, la nascita delle ipotesi scientifiche, l’innamoramento e l’amore, la genesi del sacro e la progettualità politica.
Affascinato dalla bellezza e da tutto quanto genera, crea e inventa mondi possibili, Ugo Morelli chiama al suo tavolo di lavoro due fra i poeti più creativi: John Keats, a cui è riconosciuta una capacità esemplare di sostare nella riflessione “per riconoscersi e riconoscere il mondo che creiamo e la possibilità di continuare a crearlo” e Josif Brodskij che ha sostenuto più volte quanto sia urgente e importante scegliere fra volgarità e bellezza, in un tempo in cui è la volgarità a farla da padrona. “Per un essere umano non c’è altro futuro all’infuori di quello che l’arte promette” scrive Brodskij, premio Nobel per la letteratura nel 1987: gli studi e le analisi contenute in “Mente e Bellezza” paiono proprio condurci in questa direzione. “La bellezza - scrive Morelli - non è una questione individuale. Accanto alle relazioni educative che possono sostenere l’accesso alla creatività, decisiva è la politica per generare le condizioni che possono favorire l’affermazione della bellezza”. Sostiene Morelli che nessun campo è esente da un’educabilità della mente, meno che mai quello politico visto che, scopo della politica non dovrebbe essere “uniformare la società a un ordine preesistente” ma, attraverso una buona gestione dei conflitti creare, elaborare nuove soluzioni. E il conflitto è un elemento necessario all’evoluzione della propria esperienza in particolare dell’immaginazione e della creatività. E’ in una prospettiva di conflitto che si inserisce “l’atto estetico” che, ci dice Morelli, altro non è che “una presa di distanza conflittuale con il mondo di cui ognuno di noi è parte”. Perché l’esperienza estetica si manifesta proprio su quel crinale fra “l’esserci e il divenire” .
Concepire un “io” senza un “noi” appare ormai molto superato, posto che è la relazione che ci fonda e ci permette di ridefinire l’idea di noi stessi in rapporto con la mente, il cervello e il mondo. La specie umana si cimenta con due movimenti simmetrici e difficili supportati da ricerche sempre più approfondite: il primo tende “a riportare la mente nel corpo e nel cervello sostenendo che la mente è ciò che il cervello fa (embodiment, incarnazione); il secondo “cerca di collocare la mente nella relazione con gli altri”, facendo emergere così, “un’eccedenza” evolutiva. Entrambi questi movimenti però, ci ricorda Ugo Morelli, si configurano come un vero e proprio salto evolutivo e con la ri-figurazione di cosa significa esseri umani”. La comprensione della nuova prospettiva della mente che le ricerche di ambito neuro scientifico ci impongono non è facile. Così come non è facile, per la mente umana, cambiare idea.

2 commenti:

  1. Mentre il nesso tra la creatività artistica e quella dello scienziato è stato enunciato e in vario modo affrontato da alcuni artisti e scienziati, in buona compagnia di pochi ma buoni filosofi, mi colpisce l’impegnativo proposito del libro, di proporre una concezione dell’esperire estetico, con i suoi momenti di creazione e fruizione, a cui siano riconducibili anche i fenomeni dell’innamoramento, della genesi del sacro e della progettualità politica. La nozione di “tensione rinviante” aiuta a pensare come tutti quei “gesti” – dell’artista, dello scienziato, dell’innamorato e dell’amante, del politico e di chi traccia o entra in uno spazio sacro – possano essere pensati quali espressioni dell’esperienza estetica di una mente incorporata, capace di sospendere e ricreare legami con il “reale” attraverso il “possibile”, elaborando l’«impermanenza», la «discontinuità», l’«indecidibile» e l’«incertezza» a cui è ineluttabilmente esposta per il fatto stesso di non coincidere con se stessa, per il fatto di trovare origine in quella che molti miti hanno descritto come una caduta/separazione (da una primordiale unità) e che, con altre parole e metafore, potremmo descrivere come una scissione, uno sdoppiamento, una frattura che apre lo spazio alla tensione e al riconoscimento (di sé e di altre menti, di sé attraverso altre menti). Sdoppiamento e scissione che dischiudono uno spazio vuoto, ma pieno di possibili, su cui tracciare segni e da popolare di simboli. È in quello spazio, credo, che il desiderio e la paura dell’invisibile prendono forma.
    Su questo sfondo, l’interrogativo cruciale è forse quello del rapporto tra “tensione rinviante” e bellezza. Quella di cui si tratta è un bellezza non definibile “oggettivamente” o mediante un canone estrapolato da una storia particolare e proposto come universale.
    Tre domande: la bellezza di cui si parla è forse quella concessa a un’esperienza estetica capace di “sostare” nella frattura, nello spazio aperto dalla non-coincidenza della mente con se stessa, nella paradossale e ambigua condizione in cui ogni legame può essere sospeso oppure intrecciato?
    È forse perché tale paradossale e ambigua condizione espone la mente ad una tensione che ancora la eccede (di cui la mente stessa non è appieno capace) che nella storia sociale e politica di Homo sembra prevalere decisamente l’anestetica sull’estetica?

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  2. Non sappiamo se l'avverbio "ancora" contenuto nell'importante domanda di Luca Mori, quando dice che la mente umana è oggi paradossalmente esposta ad una tensione che "ancora la eccede", sarà superato dall'evoluzione nei tempi biologici che l'attendono.
    Nè sappiamo se il superamento di quello "scarto" o di quella "eccedenza" farebbero di noi degli esseri in grado di creare se stessi e il mondo.
    Quello che possiamo concepire e fare, proprio per e grazie a quella stessa eccedenza, è agire per educare la mente relazionale e plastica alla creatività. alla ricerca dell'inedito, alla generatività e alla divergenza.

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